Una delle regole sempre valide per chi scrive è rileggere a mente fredda, armarsi di accetta (e di coraggio) e cominciare a tagliare. Togliere, snellire, perché la prima stesura contiene spesso ripetizioni, inutili avverbi e aggettivi, particolari e informazioni che appesantiscono la narrazione invece che arricchirla. Quest'operazione non è facile. Tagliare per ogni scrittore è una sofferenza: tutti i pensieri buttati sul foglio appaiono ai suoi occhi ugualmente fondamentali. Ma un bravo scrittore sa guidare chi legge, suggerendo una sensazione, un concetto, dando il là a un'intuizione e lasciando tuttavia che sia il lettore ad arrivarci, attraverso la propria interpretazione personale. Lo stesso principio vale, a mio avviso, al cinema.
Silvio Muccino non ha saputo far sua questa regola. Stasera, a casa da sola e quindi con un po' di tempo da perdere, ho voluto dare una chance a Parlami d'amore (in onda su canale 5), opera prima di Muccino jr, appunto, tratta dall'omonimo romanzo scritto dall'attore insieme a Carla Vangelista. Premetto di non aver letto il libro e, a questo punto, mi vien da dire, meno male.
Il film pecca di manierismo e di presunzione, è un'accozzaglia di situazioni disparate (e disperate) che convergono in un improbabile quanto prevedibile triangolo amoroso. Si tuffa in un tema serio come la droga, e le dipendenze in genere, con sguardo superficiale, nutrito di luoghi comuni, lo trasforma in espediente per rendere il protagonista, Sasha (che poi, che nome è? Mica è russo!) una specie di "maledetto" (cosa difficile a credersi, data la faccetta da pesce lesso con occhietti all'ingiù di Silvio). Il tutto è condito da recitazione sopra le righe, sguardi intensi, forzature pseudoteatrali (qui Carolina Crescentini recita come il suo personaggio Corinna Negri di Boris); si salva solo Aitana Sanchez Gijon, che però non è aiutata dai dialoghi che rasentano l'assurdo (ma non surreali in modo consapevole e voluto, semmai si tratta di un verosimile mal riuscito, privo di alcun fascino).
La storia? Sfigato orfano cresciuto in comunità decide che deve prendere in mano la sua vita e conquistare la tizia che gli piace fin da bambino (ricca, insicura e ribelle). A chi chiede aiuto? A una quarantenne in crisi con il marito che conosce facendo un incidente d'auto. I due iniziano una specie di "scuola di seduzione". Ma entrambi hanno un pesante passato alle spalle che non possono ignorare. E tra amici tossici, partite a pocker e cocaina, Sasha diventa più sicuro di sé, si fa Benedetta (la Crescentini), ma abbassa la guardia e si perde. Era davvero quello che voleva? Ovviamente no, ma non vi rovino la fine (anche se dal minuto 10 del film avrete già capito qual è).
Insomma, il film ha il gusto sciapito di una pizza con la mozzarella finta, quelle fatte con la pizzottella o il fontal, che hanno gli occhielli di formaggio rigidi e insapori e frustrano profondamente quella voglia matta di fiordilatte filante. Ma assomiglia anche alle insalate di riso servite agli aperitivi, unte, con dentro tante, troppe cose, pesanti ed esagerate, che un semplice spaghetto al pomodoro era meglio. Citazioni culinarie all'interno del film? Praticamente nulle. E, anche per questo, non ci piace ;-)