All'uscita dal cinema, domenica sera, io e la mia amica F. ci siamo scrutate per leggere negli occhi dell'altra la risposta a un'unica domanda. "Com'è, sto film? Ci è piaciuto?". L'unica cosa che abbiamo decifrato sulla faccia altrui, però, era un bel punto interrogativo.
"Boh.... Mah.... Sì, cioè, intenso, belle le immagini, eh, ma.... insomma, ci devo pensare", abbiamo decretato. E così io ci ho pensato. Ho letto recensioni altrui, per capire quello che forse mi sfuggiva. Ne ho lette di ogni, alcune osannanti, altre molto critiche (ne trovate interessanti stralci qui, raccolte da Cineblog).
Devo dire che mi trovo in difficoltà a spiegare in modo lineare perché questo film mi ha convinto solo a tratti. Forse perché il film stesso lineare non è per nulla. Anzi, spazia dalla dimensione della realtà presente a quella passata di una famiglia americana degli anni 50, attraverso una immaginifica ricostruzione della nascita della Terra e della vita nel mondo, e culmina in una visione di armonia e serenità, disseminata di simboli che puntano a mostrarci l'accettazione della morte e il rapporto con il divino.
Questo è uno di quei film che piacerà a chi ama ritrovare nelle pellicole omaggi e citazioni a registi di culto, come Fellini e Kubrik (due nomi che si sa, quando un film "è un capolavoro", prima o poi, saltan fuori), a coloro che vedono il cinema come atto di creazione individuale, e non tanto come una storia da raccontare.
Perché il film di Malick non è altro che la realizzazione della sua personalissima ed estrema visione del mondo, della famiglia, dell'amore, della lotta tra Grazia e Natura che trovano espressione nelle figure complementari della madre (Jessica Chastain) e del padre (Brad Pitt), dell'accettazione della morte come parte di una vita che si ripete uguale dal momento della creazione a oggi. E poco importano le epoche storiche, lo sfondo di una villetta con giardino in un sobborgo dell'America degli anni 50 o i grattacieli di New York, il cerchio della vita si apre e si chiude senza mai spezzarsi e va accettato, accolto, compreso.
Malick non è nuovo a questo approccio poetico, impalpabile, fatto di momenti simbolo e inquadrature studiate nei minimi dettagli, che ti fanno sentire dentro la scena ma allo stesso tempo la lanciano in una dimensione ricercata, del tutto cinematografica, lontana anni luce dall'imperfezione della vita vera. Se ne La sottile linea rossa la riflessione sulla vita, sulla morte, sul senso dei nostri destini era suggerita dagli orrori della guerra, che rivelano la caducità dell'uomo e la sua follia, qui tutto è molto più sottile e anche più difficile da decifrare.
Qui uno Sean Penn praticamente muto, che sappiamo vicino alla morte ma che non dice una parola al riguardo, cerca l'accettazione della fine tornando con la mente la sua infanzia in un lungo flashback. Perchè? Per comprendere le cose mai capite? Per guardarsi dentro con sincerità prima di morire? Vediamo un bambino che diventa ragazzo, che scopre in sè la cattiveria e la perdita dell'innocenza, vediamo la sua lotta con il padre ma anche, in seguito, con la madre. E la lotta con se stesso, perché non sopporta la bontà del fratello, perché ha paura, perché è attratto da ciò che non si fa.
La parte del film sulla cosmogonia, sinceramente, mi ha terribilmente annoiato. A un certo punto dalle lingue di fuoco del sole e gli anelli di saturno, si passa all'acqua, alle amebe e alle meduse e sembra di guardare un documentario del National Geographic, solo più pretenzioso. Poi spuntano i dinosauri e a quel punto ti chiedi: ma che è, Jurassic Park??? E ho sinceramente pensato di aver buttato i soldi del biglietto.
Per fortuna la parte sull'infanzia recupera. Ma rimane lenta, prolissa. Se avessi deciso di guardare questo film a casa, forse non l'avrei terminato. E il finale, devo dire che è piuttosto criptico. Visionario e criptico: non entro in dettaglio, forse sarò io che con i simbolismi non me la cavo troppo bene. Insomma, se vado al ristorante preferisco trovare un menu che recita "lasagna alla bolognese" piuttosto che una reinterpretazione tipo "fagottino cremoso con ragout di vitella profumato al pomodoro e riccioli croccanti di basilico". Non so se mi spiego. Ecco questo film m'è sembrato come quei menu di ristorante dove non capisci fino in fondo cosa stai ordinando e quando arriva il piatto dici "ah, ma è così?"
Forse tutto sta nella cultura, nella frequentazione, nell'abitudine. Se mangiassi al Principe di Savoia tutti i giorni saprei decifrare quel genere di menu con scioltezza. E se guardassi tutti i giorni film "d'autore" vi direi che questo Tree of Life, la Palm d'Or se l'è davvero meritata.
Invece, putroppo, ho solo un metodo per me infallibile per capire se un film mi è piaciuto sul serio. Se lo vedo la sera e la mattina appena sveglia ripenso a qualche concetto, immagine, domanda che lo riguarda, se i personaggi, i luoghi e le immagini mi ronzano ancora in testa, allora vuol dire che il film mi è davvero piaciuto. Stavolta non è accaduto niente di tutto questo: fate vobis!